Ho sentito dire spesso che il 2020 è un anno da dimenticare, un anno infausto nei vari settori dell’attività umana. Se si pensa per esempio all’aspetto economico, come contraddire quelle persone che hanno perso il lavoro o arrancano cercando di portare a casa un misero guadagno a fine mese. Anche la sfera psicologica è stata messa duramente alla prova per tutto ciò che concerne l’ambito familiare e i rapporti umani. C’è chi ha perso un caro, un amico o semplicemente un conoscente con cui condivideva qualche ora di spensierata compagnia. E ci sarebbe tanto altro da dire di questo anno che sta volgendo al termine, non senza paure e incognite per ciò che ci può attendere. Tutto ha avuto inizio all’incirca nel mese di febbraio, almeno qui in Italia, quando si incominciavano a registrare i primi casi di Covid-19 e i telegiornali ci bombardavano di notizie allarmanti sulla diffusione del virus sul territorio nazionale. Le immagini, anche sui social, avevano il gusto sgradevole di qualcosa che non si conosceva. Forse solo la guerra, che molti di quelli più anziani hanno vissuto, può dare l’idea di quell’immane tragedia, soprattutto nei luoghi dove il virus ha colpito violentemente ad una velocità inaspettata. Qualcuno di noi ha affrontato direttamente il problema perché la professione lo richiedeva, altri lo hanno vissuto come una missione. Si pensi per esempio a quei sanitari e volontari che hanno lasciato casa, famiglia e anche certezze, per partire dal sud alla volta degli ospedali del nord per dare aiuto e assistenza agli ammalati di Covid. Quale grande solidarietà del popolo italiano può esprimere meglio la sua indole. Gli italiani, un popolo mediocre come dice qualcuno, vittima e fautrice di corruzione, delinquenza, mafie, malasanità, cattiva giustizia e quant’altro, che in questa necessità si è mostrata la migliore nel mondo. Quando pensiamo a queste cose ci reputiamo fortunati, perché siamo ancora qui a godere delle bellezze della vita dopo un periodo di restrizione necessario, che ci ha permesso di continuare la nostra quotidianità con piccoli e indispensabili accorgimenti : la mascherina, l’igiene delle mani, il distanziamento sociale.
Il mondo dello sport agonistico e dilettantistico, tralasciando tutto ciò che concerne l’industria sportiva e non solo, ha sicuramente sofferto terribilmente il periodo del lockdown. L’inattività fisica, inscindibilmente legata a quella psichica, ha avuto ripercussioni sulla salute e sull’umore delle persone abituate al contatto con la natura e con tutti quei luoghi al chiuso e all’aperto per svolgere gli allenamenti o semplicemente esercizi per migliorare il proprio corpo. Ma gli sportivi, in particolar modo i podisti, coloro che forse più di tutti sono stati oggetto di scherno da parte di chi ha avuto un atteggiamento di contestazione nei loro confronti, sono stati anche quelli, fatte le dovute eccezioni, che hanno rispettato le regole. Mesi e mesi senza neppur indossare le scarpe per il bene della collettività. Abolite le gare, le manifestazioni, senza nessuna protesta da parte di chi fremeva per la partecipazione alla nuova stagione podistica. E quando è stato permesso di riprendere l’attività, ci si è accontentati di correre per il piacere di farlo e per rivedere gli amici persi di vista prima dello scoppio della pandemia. La corsa è veramente uno sport che ci forma e ci fa crescere anche se non siamo più giovani. Ci fa riflettere sui comportamenti, sulle scelte, sulle ragioni che una collettività unita e solidale adotta per il bene di tutti. Un anno senza gare non è un anno perso, ma semplicemente un periodo per conoscere meglio se stessi, risolvendo qualche problemino legato all’intensa attività durante le competizioni. Nel frattempo si scoprono altre passioni che fanno parte della sfera umana e danno vita a nuovi percorsi. Semplicemente si aggiungono al podismo, lo migliorano, ne danno un senso diverso, forse più genuino, o se vogliamo, più consapevole dei limiti che la natura ci impone e che ostinatamente tendiamo a dimenticare. Quando tutto sarà finito torneremo a fare quello che avevamo lasciato. Allora ci chiederemo se la vera normalità è quella in cui si corre per il cronometro o quella per il piacere di condividere con gli amici momenti irripetibili.
Francesco Rinaldi